O’ Majo e San Michele

Majo San Michele – Quartiere Piconi

In occasione della vigilia dell’apparizione dell’Arcangelo Michele al Monte Gargano, si rinnova nei vari quartieri di Frasso l’ormai millenario rito dell’accensione del “Majo”.
Si tratta di un grosso falò realizzato in ogni quartiere del paese con la legna raccolta nei boschi circostanti, che viene accatastata intorno ad un grosso albero posto al centro e fissato nel terreno, precedentemente privato dei rami. In passato era diffusa l’usanza di abbellire la cima del falò con ghirlande fatte di ginestra fiorita intrecciate.
Il suo ricordo viene tramandato oralmente da generazioni in generazioni. Non sono noti al momento documenti antichi che lo ricordano.

È stato descritto sufficientemente per la prima volta dal Prof. Carmine Calandra nell’anno 1904 il quale evidenziava che:

“son mucchi di frasche novelle, a cui si dà fuoco con gran tripudio la sera del 7 Maggio. – Se ne fan due, tre, e anche più per ogni via del paese, e si comincia di buon’ora, nel pomeriggio a metterne insieme i materiali, così vivo è il desiderio di ciascuna contrada  di comparir bene fra le altre. Bisognerebbe veder quegli sciami di ragazzi affaccendati, che vanno di casa in casa a chiedere, a impetrare, a strappar, se occorre, la legna; che si aprano innanzi ai contadini tornanti dai campi con delle fascine sui fidi asinelli; che, se ciò non basta,  piglian difilati i sentieri sassosi della montagna, e di lì tornano in men che non si dica , carichi, le donnine  specialmente, di discrete sarcinelle. Non ci vuol molto così a raccogliere un bel mucchio di rami, che qualche entusiasta o sfaccendato della contrada (ditelo come meglio vi piace) va disponendo poi con bel garbo intorno a un palo fisso in terra, in modo da formar come una cupola verde di frasche, alta e grande. 
Dopo l’Avemaria, quando i contadini si sono rifocillati tra le pareti domestiche, i mai si cominciano ad accendere l’un dopo l’altro, per le varie strade del paese. E’ uno schioppettio, un crepitare festoso , che si leva, insieme coi primi riflessi della fiamma e i primi nugoli di fumo, al di sopra delle case, e si spande, rispondendosi da un punto all’altro sempre più vivace; già frattanto si comincia a sentir qualche colpo di schioppo  e i sommessi preludi dei canti devoti delle donne.
Poi il crepitio cresce ancora vivissimo,  i mai divampano, sono accesi tutti oramai e chi gira intorno al paese lo vede avvolto in una nube scura arrossata dai riflessi delle vampe: altri fuochi tremolano lontano per la campagna.
Accostiamoci ora ad un maio. Torno torno alle fiamme che or si vanno ammantando di caligine, or sfavillano splendide  e pure come oro, c’è una corona di ragazzi, di forti campagnoli, di giovanotti, intenti più che ad altro, a caricare e a ricaricare, con un’alacrità straordinaria, certi vecchi schioppi familiari, nelle cui canne scende e riscende, tintinnando, la verghetta che rassoda la carica.
Poi ogni tanto il cerchio dei curiosi si allarga , e bum, uno, due, tre colpi s’avventano insieme a scompigliar le fiamme, che si piegano a terra, ondeggiano, sembran dome, e risorgono qualche istante dopo più fervide, verso il cielo.
Sulle soglie delle case intanto le donne si godono anch’esse quella festa semplice e lieta, innalzando di quando in quando un coro pieno e gioioso che si spande per le fresche auree primaverili: son litanie, ma cantate con un certo motivo più dolce, più tremulo, più fresco direi quasi, quale non usano se non quando vanno in pellegrinaggio, fra le libere e profonde risonanze dei monti.

Majo San Michele – Contrada San Vito

Santa Maria donace grazia canta il pio coro e intanto qualche gruppetto di baldi giovani giunge col fucile sul braccio, colla banda del cappello calata sulla fronte, e fatta coll’occhio – non sine causa – un po’ d’ispezione nel gruppo femminile, dà con certi colpi che mandano  per aria un nembo di faville, le prove della sua famosa valentia. – Così tra le innocue schioppettate e i canti sacri, con cui s’alterna quello un po’ meno devoto del moifà, si aspetta che venga a mancare il maio, a  cui di rado si risparmia, in extremis, il colpo di grazia che lo riduce tutto in brace sfavillante; poi i giovani che hanno ancora polvere e voglia di divertirsi si allontanano verso altri
punti del paese dove ancor arde la fiamma; simbolo forse dell’intimo fuoco che brucia e avviva le anime loro. Il giorno dopo si porta su a una chiesetta, attaccata all’erto e roccioso monte Sant’Angelo, la statua di San Michele, un blocco di macigno sbozzato a forti colpi da chi sa qual Fidia, e che brandisce per l’occasione una bella sciabola luccicante.
Malgrado la sua complessione perfettamente montanara, l’Arcangelo non rimane tutto l’anno sulla montagna: ne scende per la festa di settembre, quando già qui comincia a correr qualche brivido precursore dell’inverno, e vi risale nel bel Maggio, quando si è ben risvegliato, in alto, il brulichio delle greggi e dei pastori”

Majo San Michele – Quartiere Fosso

Sul significato del termine “Majo” sono state formulate diverse ipotesii che di volta in volta ne hanno indicato un’origine diversa, attribuendola da una parte alle aree nordiche e dall’altra al bacino del Mediterraneo, ma concordando tutti sulla natura stessa del rito ritenuto a ragione tra i cosiddetti culti arborei primaverili.
Si tratta comunque di un culto antichissimo che ha trovato, soprattutto nelle popolazioni di sirpe germanica come sono i Longobardi, un’ampia diffusione. Viene annoverato tra i cosiddetti riti pagani primaverili di fecondazione e rigenerazione della natura
A Frasso Telesino il “Majo” viene dedicato alla figura dell’Arcangelo Michele. Tutto il rituale ha acquisito con il tempo un significato devozionale anche all’interno della pratica religiosa cristiana che non consente di guardare al rito arboreo come una mera testimonianza di un culto arcaico ma rende necessaria la sua contestualizzazione all’interno di un orizzonte culturale totalmente altro in cui acquista un nuovo valore religioso e devozionale. Quando i cristiani iniziarono la loro opera di conversione in massa delle popolazioni pagane, una delle prime cose che fecero fu quella di vietare il culto che tali popolazioni avevano per gli alberi e conseguentemente, quello di distruggere le foreste sacre. Il concilio provinciale di Arles nel 452 d.C. proibiva l’adorazione degli alberi, delle fonti e delle pietre; quelli di Tours e di Nantes, rispettivamente del 567 e 568 si accanirono contro quelle persone che celebravano riti sacrileghi all’interno dei boschi e contro gli alberi consacrati al demonio o streghe. L’accanimento contro gli alberi durò per gran parte del Medioevo, durante il quale i parroci rimproveravano ed in seguito processavano le persone che portavano offerte agli alberi, che innalzavano altari sulle loro radici e che richiedevano la protezione per la propria famiglia e per i propri beni intonando a loro dei lamenti.

Majo San Michele – Quartiere Tuoro

San Bonifacio nel convertire i germani abbatté la quercia Geismair, consacrata a Thor. Anche Carlo Magno continuò questa opera, infatti nel 772 distrusse il santuario pagano dove veniva venerato Irminsul, un gigantesco tronco d’albero che nelle credenze pagane aveva il compito di sostenere la volta celeste. Nel 789 fu pubblicata una condanna contro chi accendeva candele e praticava azioni di superstizioni sotto alberi, pietre e sulle fonti. A dispetto della repressione praticata dalla Chiesa, il culto degli alberi era talmente radicato da sopravvivere sia nei centri rurali che nelle grandi città. la Chiesa ha cercato sempre di mettere ordine a questo rituale non “troppo cristiano”. Nel 1579 “Il V Concilio Provinciale di Milano (1579), tanto per citare un esempio, invitava i vescovi a riciclare antichissime ed “empie” usanze che si tenevano il l° maggio. In tale giorno era infatti consuetudine nei centri della provincia trasportare in tripudio frondosi alberi da innalzare nelle piazze ed in altri siti «nel vivo di uno spettacolo festoso» primaverile. Ai vescovi venne fatto carico di scoraggiare la partecipazione a tali feste imponendo penalità, ma soprattutto di trasformare la ricorrenza pagana in occasione di cristiana esultanza, di testimonianza a Dio e di professione di fede…”.E’ probabile che con l’occupazione dell’area frassese da parte dei Longobardi, il rito arboreo del Majo abbia assunto un significato ulteriore.
          

Majo San Michele – Quartiere Fosso

Vi aspettiamo nei vari quartieri di Frasso la sera del 7 Maggio per ammirare lo spettacolo dell’accensione del Majo di San Michele, il tutto allietato dal buon vino e da antichi canti popolari.

Si ringrazia l’Avv. Luciano D’amico per il contributo alla realizzazione del presente articolo.