Per il visitatore che arriva dalla Valle Telesina o Caudina, Frasso Telesino appare come un ordinato agglomerato urbano disteso alla base del Monte Sant’angelo (1189 msl) che lo sovrasta con la sua alta falesia calcarea sub verticale, immerso in uno scenario naturale di suggestiva bellezza, caratterizzato da estese aree boschive che si aprono verso sud lasciando spazio ad ordinati campi vitati ed antichi uliveti.
Il borgo è situato sul versante occidentale del massiccio montuoso del
Taburno Camposauro, all’interno dell’omonimo parco naturale, occupandone l’area collinare
prossima alla stretta valle del torrente Maltempo quasi allo sbocco del valico di Prata stretto tra le alture di Monte Sant’ Angelo (1189 m) e Monte Cardito.
Sull’origine del poleonimo Frasso sono state avanzate molteplici ipotesi. Quella maggioritaria
riconduce il nostro poleonimo al latino fraxinus nel senso di frassino che sarebbe raffigurato anche nello stemma civico più antico che ad oggi si conosce e che si trova dipinto alla base della “Pala del Rosario” datata alla seconda metà del XVI sec., conservata nella Chiesa parrocchiale di Santa Giuliana.
Altri studiosi locali riconducono il poleonimo Frasso al verbo latino fraxare nel senso di
fare la guardia in considerazione della posizione del paese a guardia del percorso tra la Valle Telesina ed il passo montano di Prata. Altri ancora rifacendosi alla orografia del luogo fanno derivare il nostro poleonimo dal latino fractum nel senso di rotto, spaccato, riferendosi alla particolare conformazione della strettoia di Prata.
In ogni caso nella prima documentazione a noi conosciuta il paese appare con il poleonimo “Frasci” rimasto nella versione dialettale.
Dopo l’Unità d’Italia venne aggiunto l’appellativo di “Telesino” per distinguerlo dagli altri centri omonimi.
Una prima leggenda vuole Frasso fondato nel III sec. a.C. dai Telesini scampati alla punizione
romana per aver dato il loro sostegno ad Annibale. Un’altra leggenda invece colloca la fondazione del paese al I sec a.C allorquando sempre i Telesini scampati alla vendetta di Silla si sarebbero rifugiati in un primo tempo a Monte Sant’Angelo e poi nel luogo dove sarebbe sorto Frasso.
Questi primi abitanti avrebbero costruito le loro prime abitazioni con pali e travi ricavate dai frassini.
Una terza e ultima leggenda riconduce l’origine frassese sempre alla distruzione di Telesia ma questa volta da parte del condottiero saraceno Massar nel IX sec. d.C.
A prescindere dal dato leggendario della fondazione di Frasso, il territorio appare interessato da una precoce antropizzazione sin dalla preistoria. Non è raro rinvenire nel territorio frassese materiale litico e ceramico riferibile a vari periodi e diverse facies preistoriche.
Alcuni materiali litici ritrovati all’interno del territorio frassese sono genericamente attribuibili al Paleolitico mentre il rinvenimento di ceramica impressa in località Arbusti fa pensare all’esistenza di un villaggio già a partire dal neolitico antico-medio. Per il periodo successivo denominato eneolitico i rinvenimenti sia di strumenti litici che di ceramica si fanno più numerosi ed estesi sul territorio.
Tra questi spicca il rinvenimento di un pugnale litico, oggi conservato nel Museo archeologico del Sannio Caudino di Montesarchio, insieme a tre cuspidi in selce ritrovate tra le località
“Piano di zì Nicola” e “Ferriole” presso la Piana di Prata.
Per l’età del bronzo è attestata l’occupazione soprattutto dei pianori sommitali di Monte S’Angelo e Cardito a testimonianza della ormai sempre più diffusa pratica della transumanza verticale.
In ogni caso, per lo stesso periodo, non mancano prove dell’occupazione delle aree collinari o di fondovalle come testimoniano ancora una volta i ritrovamenti di materiali nelle località Arbusti e Nansignano-Vallarano.
L’occupazione del territorio è attestata anche per i momenti successivi (età del ferro-orientalizzante ed età arcaica). Per il periodo sannitico i ritrovamenti si fanno un più rarefatti. Degno di nota è il rinvenimento negli anni ‘30 in localitä Murto-Tore Cappiello del tesoretto di Frasso Telesino attualmente esposto al Museo Archeologico di Napoli, composto da 22 monete di argento datate tra il V e IV sec. a.C. tra cui 12 monete di Hyrie, città di cui si conosce al momento la sola emissione monetale.
Allo stesso periodo è datata una fortificazione del tipo ad aggere situata a Pizzo del Piano, posta a controllo dell’importante percorso di fondovalle in prossimità della confluenza del fiume Volturno e Calore Beneventano.
Per il periodo romano i ritrovamenti si fanno più estesi e consistenti. Ricordiamo la scoperta
agli inizi degli anni ’90 in località Arbusti di una necropoli ricondotta cronologicamente tra la metà del I sec. a.C. e il IV secolo d.C., oggetto di scavo da parte della Soprintendenza archeologica.
Al 214 a.C. è invece datata una moneta di età repubblicana rinvenuta in occasione del
rimboschimento di Monte Cardito nota con il nome di “terenzia” a testimonianza ancora una volta dell’importanza per l’economia della zona dei pascoli montani.
Non mancano testimonianze del periodo tardo imperiale ma è al successivo periodo altomedievale che si assiste alla nascita del primo insediamento urbano.
E` al periodo longobardo che deve riferirsi l’apertura al culto micaelico della chiesetta rupestre sita sulla sommità di Monte Sant’Angelo.
A tale periodo si riferisce il primo documento che testimonia l’esistenza di Frasso. La prima notizia del casale “Frasci” è, infatti, riportata in un praeceptum concessionis et confirmationis dei principi Pandolfo II e Landolfo V, dell’anno 991-992 d.C con il quale si concede al cenobio beneventano di S. Modesto l’ecclesia S. Salvatoris, le cui tracce oggi sono del tutto scomparse anche se è verosimile ipotizzarne la sua presenza all’interno di Terravecchia, sviluppatesi successivamente intorno a detta chiesa.
Per rinvenire altre notizie di Frasso bisogna giungere all‘anno 1308-1310 in occasione del
pagamento della decima, dove è attestata la presenza a Frasso della chiesa Arcipretale di Santa
Giuliana.
Da un documento conservato presso l’Archivio di Stato di Benevento si afferma “… Nelli medesimi Atti dell’accesso, ritrovasi poi presentata in seguito, fol.200 una copia d’un capitolo, estratta dal Mag()co Michel’Angelo Bosco della Terra di Frasso, dall’originale Platea dell’Abbadia di S.to Mandato della città di S. Agata de Goti, fatta dall’anno 1300, esibitali per il Revo D. Francesco Fiume, Procuratore A.di Padri Scozzesi della Città di Roma, dove stavano notati e descritti tutti i beni che si possedevano da detta Abbadia e fra l’altri rientrino nella giurisdizione della Terra di Frasso ed essa limitrofi, Selva ubi dicitur a S.a Maria di Prato, quale Chiesa di S.ta Maria è Grancia di S.to Mandato justa la detta Chiesa, lo vallone di Grottola, la via publica, la montagna di Frasso si sia venduto il frutto a D. Romano Lala…”.
Della Chiesa di S. Maria di Prata, attestata intorno al XIII-XIV oggi si possono osservare alcune
porzioni dell’alzato parzialmente interrate da una recente frana nella località Fontana di S. Maria. Frammenti di ceramica a bande rossa e la presenza di proto-maiolica, rinvenuti
presso i ruderi della Chiesa di S. Maria in zona Prata, rimandano ai secoli XII – XV, mentre per quelli successivi non vi sono testimonianze materiali dirette e ciò fa presumere l’abbandono del sito e quindi la sua decadenza a partire dalla fine del XV sec d.C.
In località Campanile recenti scavi condotti dalla Soprintendenza archeologica hanno messo in evidenza le tracce di più edifici religiosi tra cui quello più antico datato al X-XI secolo d.C.
In ogni caso sul territorio frassese non è raro rinvenire in dispersione cocci ceramici, tra i quali frammenti di ceramica a vernice rossa o ingobbiata, considerata un vero e proprio fossile-guida per le fasi di passaggio tra età tardo-antica ed altomedievale.
Altri cocci invece, per lo più anse e fondi di vasi, presentano le tipiche decorazioni dipinte a bande rosse larghe e quelle dipinte a bande rosse strette.
Si tratta di una produzione caratteristica delle regioni centro-meridionali diffusasi già sul finire
dell’età tardo-antica e su larga scala soprattutto tra il VII-VIII secolo e il XIII d.C. I motivi
decorativi sono formati da linee molto semplici.
Dalla “Generalis Subventio” angioina del 1320, nella quale vengono riportati per ciascuna
Università (comune) i valori dell’imposta che veniva applicata in proporzione del numero dei nuclei familiari (fuochi) e del loro reddito netto si evince che Frasso paga la tassa di once 2, tari 19 e grane 9, evidenziando la scarsa importanza economica espressa dal nostro paese.
Nelle istruzioni ai “taxatores”, si prescriveva infatti che questi dovessero operare “attentis
facultatibus, proventibus et familiis, ex quibus onera vel utilitatem reportant, ac expensis etiam
singolorum”, ossia che si tenesse conto sia dei redditi tanto immobiliari che di lavoro e degli oneri e delle spese relativi a tutto il nucleo familiare. L’ammontare della tassa per ogni abitato esprimeva pertanto la capacità contributiva globale di esso, e quindi la sua importanza economica.
In età aragonese, in connessione con l’avvenuto aumento della popolazione, scampata alla terribile “peste nera” del 1347, che ridusse notevolmente la popolazione locale, l’Università di Frasso paga alla Regia Corte una tassa annua di 32 once d’oro, mediante versamenti da effettuarsi in tre rate o in tre terze: quella di Natale, di Pasqua e la terza di Agosto. Nel 1532 troviamo il paese tassato per 115 fuochi, 117 nel 1545, 171 nel 1561, 157 nel 1595, 172 nel 1648, 188 nel 1669, evidenziando una costante crescita economica e demografica.
La Terra di Frasso, amministrativamente è stato un possedimento feudale fino al 1806 (abolizione della feudalità nel Regno di Napoli. Il Casale di Frasso, è feudo dei Conti della Ratta nella seconda metà del XV sec. d.C. .
Infatti nel 1442 il Conte Giovanni, figlio di Baldassarre Della Ratta sposò Anna Orsini, riottenendo il possesso dei feudi ereditati dal padre, compresi il castello di Dugenta, Limatola e Frasso. Alla sua morte il 18 luglio 1458, il figlio Francesco ebbe confermati i possedimenti e titoli paterni, compresi i feudi di Dugenta, Limatola, Frasso e Melizzano. Il 18 novembre 1460 in base all’accordo, firmato nell’accampamento del re Ferdinando a Caserta, ai conti di Caserta vennero confermati la Contea di Caserta e di S.Agata dei Goti, la valle di Tocco, Bagnoli, Ducenta, Frasso, Melizzano, Limatola ed Eboli, con tutte le immunità ed esenzioni concesse dai precedenti sovrani. Alla morte del Conte Francesco i suoi possedimenti passarono per testamento alla sorella Caterina sposata con Cesare d’Aragona, figlio naturale di Ferdinando I, che già prima dell’agosto 1480 alienò a Francesco Coppola, conte di Sarno i castelli di Dugenta, Melizzano e Frasso.
In seguito all’occupazione del Regno di Napoli da parte dell’esercito di Luigi XII di Francia, Caterina perdette i suoi possedimenti, promessi in dono alla nipote Caterina, andata in sposa a Francesco Gambacorta dalla cui unione nacque Anna Gambacorta. Nel frattempo il feudo di Frasso era passato a Virginia della Ratta, moglie del Duca Acquaviva d’Atri (1502). Cesare d’Aragona e Caterina, con la nipote reclamarono i loro possedimenti presso il re di Francia in quanto gli erano pervenuti iure successorio ed il 3 marzo 1501, Luigi XII ordinò al duca di Nemours, suo Viceré e Luogotenente nel Regno di Napoli di reintegrarli nei loro possedimenti, Nel 1506 la contessa Caterina Della Ratta ottenne da Ferdinando il Cattolico la conferma dei suoi feudi la quale risultò investita di “…. Civitatem Casertae cum titulo et honore comitatis e castrum Limatule, Ducentam et Milizanum et Frassium cum casali bus in Terra Laboris”. Nel 1511 le terre di Frasso, Dugenta e Melizzano vennero alienate come dote da Caterina Della Ratta a favore della nipote Caterina, detta Catarinella. Nel 1576 il feudo di Frasso venne alienato a Marcello Pignatelli, marito di Virginia Gambacorta che lo trasferì successivamente, nel 1587 al Dott. Gianfranco Del Ponte. Nel 1593 passerà da Del Ponte a Pompeo Gambacorta, che a suo volta lo alienerà a D. Ottavio Orsino, che lo acquisterà – senza assentimento regio (1710) e poi a suo nipote Giuseppe Capano (1713), a Placido Dentice Massarenghi, ed infine al principe Spinelli di S. Giorgio, che lo comprerà dal precedente senza assentimento regio (1730). Nel 1778 inizierà una lunga causa tra le precedenti famiglie feudali, perché Dentice rifiuterà la ratifica della vendita agli Spinelli. La causa terminerà nel 1810 e darà ragione ai Dentice che ancora oggi conservano il titolo di Principi di Frasso. Dal 1861 Frasso farà parte della provincia di Benevento.
Si ringrazia l’Avv. Luciano D’amico per il contributo alla realizzazione del presente articolo.